La Spagna di Luis Enrique è rimasta una bozza incompiuta. Un’idea abortita sul nascere, un percorso lasciato a metà, di certo non con pochi rimpianti. Il lavoro di Lucho, esonerato dalla Federazione dopo il Qatar, ha però lasciato un segno ben visibile: la vittoria della Nations League parte dalle sue mani. Nella proposta, nell’identità, negli interpreti. Ponendo le basi sulle quali costruire l’impalcatura delle furie rosse di domani. Ma il domani per la Spagna si chiama già Luis De La Fuente, mentre per Luis Enrique il domani si chiamerà Paris Saint Germain. Questione di giorni, di ore, di dettagli, poi la Tour Eiffel accoglierà la sua voglia di riscatto. Su una delle panchine più scomode, in una delle piazze più difficili.
Nella città dell’amore, Parigi, che però si disaffeziona presto e dimentica spesso. Le esigenze mai dome dei qatarioti hanno portato il PSG a monopolizzare il mercato e il sistema calcio in generale, elargendo soldi a destra e a manca alla ricerca di una soluzione che, così facendo, rimarrà sempre un problema: comprare campioni, forse solo per il gusto di averli nella collezione. Senza amalgama, senza criterio, senza un’ossatura stabile e un progetto solido, a lungo termine. Guai a nominarlo, nel calcio di oggi che non aspetta e corre veloce. Ma solo così si impara e si arriva poi a crescere e a vincere. Di certo non stravolgendo organigramma, organico e area tecnica ogni qualvolta si presenti l’occasione. In tal senso, l’ultima vittima di Al Khelaifi, l’allenatore Galtier, è l’ennesima dimostrazione di come a mancare sia la chiarezza, oltreché la lucidità nelle scelte di una società apparsa troppe volte debole, frettolosa e “anarchica”, disordinata, dall’alto della sua potenza.
Ecco, la scelta di Luis Enrique vuole rappresentare sotto ogni aspetto una svolta netta, un cambio di passo repentino. Forse, è proprio la persona giusta per ridisegnare e completare le ambizioni del PSG. Perché, umanamente, vale. Ha polso, ha carattere, e in uno spogliatoio nevrastenico, privo di leader e pullulato da primedonne isteriche può solo servire una personalità forte come la sua per costruire una credibilità, europea e non. Perché, a livello di conoscenza del gioco, vale. E, tornando al sopracitato discorso di “progettualità a lungo termine”, è uno che ha bisogno di tempo per sviluppare le sue idee e il suo credo (che possa essere un monito). E poi, perché potrebbe reinventare Neymar, che nel suo Barcellona ha raggiunto le vette più alte, perché potrebbe riavvicinare Mbappé alla causa parigina (difficile ma non da escludere del tutto) e perché darebbe spazio ai giovani, a forze fresche, fattore che cambierebbe il modus operandi del club sul mercato. Parola d’ordine: funzionalità, per far funzionare questo matrimonio.
Già in partenza travolto da un’ondata di perché, alla ricerca di una risposta forte, di un segnale di presenza e di maturità. Intanto, una cosa è certa: il PSG si assicura un grande allenatore e un immenso uomo di calcio. E già questo è un bel biglietto da visita.