Steso un velo pietoso sulla sciagurata fine del ciclo Agnelli, tra le poche certezze rimaste in casa Juve spicca la forte necessità di ripartire. Ripartire da un’organizzazione societaria solida, con un’idea e un’identità riconoscibile nel lungo termine. Stabilendo, inoltre, delle gerarchie precise: chi comanda alla Juventus? Inutile dire che serve una proprietà forte, quella che al momento pare non esserci. Demineralizzata dalla gestione brutale del post Allegri I con una serie di investimenti controproducenti, falle nella comunicazione, frettolosità nelle scelte, confusione, momenti di prolungato silenzio e i noti problemi giuridici. Serve un leader “dietro le quinte”, una personalità forte (quella che era Marotta, quella che potrebbe essere Giuntoli) che tracci la linea e l’etica da seguire. Ma soprattutto serve avere l’umiltà di fare un passo indietro, capire che il ciclo vincente è finito da un pezzo e costruire con intelligenza e diligenza.
E con un pizzico di coraggio, che fa sempre bene. Ripartire significa anche cambiare. Abbandonare la politica del tutto e subito, abbassare il monte ingaggi, ridimensionare organico, ambizioni e visione progettuale. Attraverso un processo graduale di inserimento dei giovani, che compongono già un buon parco giocatori nella rosa attuale: basti pensare a Fagioli, Iling Jr, Miretti, Soulé e Rovella. Poi ci sono i punti fermi, pochi ma buoni come Szczesny, Gatti, Danilo, Kostic, Chiesa, con l’incognita Vlahovic sullo sfondo (chissà che una nuova gestione tattica non possa scatenare il leone che è in lui). E c’è chi già è andato via, senza troppi rimpianti, Di Maria e Paredes prima degli altri. Due zavorre tecniche ed economiche dall’apporto scarno, così come Pogba, altra minestra indigesta e costosa in rapporto al rendimento effettivo sul campo che, di fatto, non c’è. Per Rabiot, invece, vale davvero la pena penarsi? Anche qui servirà maturità.
Questione allenatore: a completare l’area tecnico-sportiva, zona panchina, c’è e ci sarà ancora Allegri nelle intenzioni bianconere. Intenzioni di circostanza? Fatto sta che il biennio di Max non ha portato a niente, a livello di risultati e di crescita dell’organico, eccetto qualche guizzo sporadico del tanto decantato ma stancante corto muso. Allegri, più volte, è stato colto impreparato e non è riuscito a costruire un’identità sul campo (lo dimostrano le 108 formazioni diverse su 108 nell’arco della sua seconda esperienza in bianconero). C’è da riconoscergli il fatto di aver provato, con buoni spunti nei primi mesi di 2023, a compattare al massimo il gruppo nel momento più complicato della stagione, tra penalizzazioni, sentenze, rinvii e altri fattori che hanno inevitabilmente destabilizzato l’ambiente e compromesso il percorso in campionato. Ma, nel complesso, sarebbe stato necessario un cambiamento, lasciarsi alle spalle il passato, senz’altro glorioso, e ripartire da nomi nuovi, forze fresche, idee. Tudor, per un ipotetico futuro, è un buon esempio, conosce l’ambiente, è in rampa di lancio e ha il carattere giusto. Prima però, bisogna liberarsi dei 9 milioni che legano ancora Allegri alla poltrona. E non sarà cosa breve e sbrigativa.