Serie A: 10 riforme per un campionato migliore

IL LIVELLO (STAGNANTE) DEL NOSTRO CAMPIONATO

La vittoria dello Scudetto da parte del Napoli, stimola riflessioni interessanti circa la validità del nostro campionato. La presenza di una squadra (il Napoli) nettamente superiore rispetto alle altre, soprattutto per continuità, ha ammazzato la lotta Scudetto; tuttavia un campionato non si giudica in base alla sola lotta per il vertice, bisogna considerare la competizione nel suo insieme.

Distinguere tra competizione qualitativamente al ribasso o al rialzo: l’esempio tedesco

In un torneo a tabellone si possono valutare fattori quantitativi e qualitativi: i primi determinano per quanto tempo si prolunga la competizione, oltre che su quanti fronti (lotta salvezza, al quarto posto, al primo posto); i secondi differenziano le varie tipologie di competizione. Infatti una lotta al quarto posto può anche chiudersi alla 38esima giornata, ma se la sua conclusione è tardiva in virtù dei tanti punti persi, piuttosto che di continue vittorie da parte delle contendenti, allora si parla di competizione qualitativamente al ribasso. I prossimi due esempi saranno chiarificatori: questa stagione il quarto posto in Bundesliga è stato conteso da Union Berlino, Friburgo, Lipsia e Bayer Leverkusen; aldilà del Lipsia, forse l’unica vera discontinua, tutte le altre sopracitate hanno mantenuto un ritmo costante e un’alta intensità di gioco. Infatti abbiamo visto il Leverkusen imbattuto da Febbraio, il Friburgo perdere una partita al mese ed un Union, che solo di recente aveva iniziato a collezionare qualche pareggio/sconfitta di troppo: la lotta Champions in Germania gode quindi di una competitività al rialzo.

Quando la competizione diventa una “gara a chi fa meno peggio”: l’esempio italiano

D’altro canto la bagarre Champions in Serie A è stata sicuramente competitiva; anzi, in termini prettamente quantitativi, ci sono state più squadre italiane a contendersi il quarto posto, rispetto a quelle tedesche. Tuttavia Roma, Milan, Juventus, Inter e Atalanta hanno mantenuto un passo tutt’altro che costante: si pensi che l’Inter (al terzo posto in classifica) ha collezionato ben 11 sconfitte. Non a caso le squadre di Bundesliga, che si sono giocate l’accesso alla prossima Champions League, hanno lo stesso numero di punti delle analoghe italiane, pur con quattro partite in meno. La lotta al quarto posto in Italia è una sorta di “gara a chi fa meno peggio”, il che non è motivo di orgoglio. Ancor prima di riformare, bisogna quindi comprendere le cause di questo impoverimento qualitativo.

La crescita delle compagini “proletarie” in Serie A

L’incapacità da parte delle “grandi” squadre (escluso il Napoli) nel mantenere un andamento costante può essere letta in tre modi: con il passare delle stagioni o le “grandi” sono peggiorate o le “piccole” sono migliorate o entrambe le cose. Alla prima e alla terza ipotesi non credo molto. Già solo 5 anni fa le uniche vera squadre competitive erano la Juventus e il Napoli, tutte le altre vivacchiavano attorno al quarto posto, crogiolandosi sui limiti tecnico-tattici delle “piccole”, che mai le avrebbero scavalcate. Anzi, un miglioramento, anche piuttosto lampante, c’è stato. Aldilà di Roma e Juventus, rimaste ancorate alla proposta conservativa dei loro mister, le “sette sorelle” propongono un calcio moderno o semi-tale. Milan e Inter competono per la Champions League. Il Napoli sta coronando con il terzo scudetto una stagione fantastica, costellata di vittorie degne dei grandi club europei (soprattutto per come sono arrivate). Infine la Lazio può permettersi un allenatore come Sarri, la cui proposta 5 anni fa era considerata utopica per il nostro campionato.

Tuttavia le “piccole” sono state più veloci nel progredire mentalmente, tatticamente e tecnicamente. Moltissime squadre, che anni fa si sarebbero accontentate di uno 0-0, vanno ad espugnare gli stadi italiani più prestigiosi: ricordiamo il Bologna nono il Monza, bestia nera di Inter e Juventus. Inoltre, molte di queste società sono diventate autentiche fucine di talenti, mentre prima erano botteghe d’acquisto solo per i club di Serie A: si pensi a Empoli, Sassuolo, Udinese e Verona. Nella parte medio-bassa di classifica, salvo qualche eccezione, si è sviluppata una mentalità propositiva, sia nel fare calcio che nel far mercato. La più logica conseguenza di una siffatta crescita è togliere punti alle squadre in vetta alla classifica, che sono migliorate, ma non allo stesso passo delle compagini sottostanti.

Il GAP tra “grandi” e “piccole” squadre in Serie A

E’ logico che, per quanto le “piccole” possano migliorare, il divario (soprattutto tecnico) con le “grandi” rimanga abnorme: il potere d’acquisto tra le due classi non è minimamente paragonabile. In effetti saranno sempre le solite sette, nonostante le loro difficoltà, ad occupare i primi posti in classifica; quel che è positivo però, non è tanto la possibilità di vedere un Bologna o un Monza in Europa League, ma piuttosto il fatto che le “piccole” abbiano a disposizione mezzi più efficaci per rosicchiare punti alle “grandi”, proponendo per esempio un gioco di livello. La qualità della proposta delle “piccole” è infatti aumentata col passare degli anni: è da specificare che per “qualità della proposta” si intende non per forza un gioco votato alla spregiudicatezza, quanto più di un sistema che esalti la tecnica dei singoli e che permetta alla squadra di vincere contro ogni avversario. Penso per esempio alla sfida Napoli-Salernita: la banda di Sousa ha proposto un calcio, che, sia pur difensivo, ha innescato delle ripartenze così letali da fornire alla Salernitana i presupposti per una vittoria in ben due punti.

Insomma, è quasi impossibile trovare una soluzione al problema del marcato dislivello tra “grandi” e “piccole” squadre. Addirittura Sarri ravvisa un GAP significativo anche tra Lazio e Inter, notoriamente considerate due big, figuriamoci quindi che scarto può sussistere tra una “piccola” e l’Inter (per non dire Napoli). Quel che si deve fare però, è ridurre il più possibile l’apertura della forbice: in questo modo si avrà una lotta salvezza più avvincente (cioè tra squadre più forti), mentre la competizione sarà distribuita uniformemente in ogni parte del tabellone. Il dislivello va ridotto da un punto di vista tecnico, ma anche economico.

L’acquitrino di metà classifica: quando le squadre non hanno più obbiettivi

Per “competizione distribuita omogeneamente” intendo quella particolare tendenza, palpabile soprattutto nelle ultime giornate, ad avere delle squadre fuori da ogni tipo di lotta (che sia per un posto in Europa o per la salvezza). Parliamo molto spesso di compagini congelate a metà classifica, ma quest’anno si sono aggiunti il Napoli già campione d’Italia e la Sampdoria quasi retrocessa. E’ quasi come se nella parte centrale di classifica ci fosse un acquitrino o una zona di ristagno. Si tratta di una problematica non da poco; infatti, se molte squadre non hanno più obbiettivi in campionato, c’è il rischio che queste possano perdere più facilmente punti, andando a “falsificare” le competizioni su tutti i fronti.

Quindi è necessario implementare delle riforme che possano ridurre il più possibile il numero di squadre senza obbiettivi.

L’esigenza di variabilità: gli esempi francesi e tedeschi

Nel mio modello ideale (ma non utopico) di Serie A, c’è una grande variabilità di squadre che partecipano alle competizioni europee. Infatti, per aumentare la competitività della nostra Lega, è necessario che sempre più compagini si confrontino con delle analoghe di altri campionati. Sappiamo però che le prime sette posizioni, valevoli per l’accesso all’Europa, sono sempre occupate dalle “7 sorelle”. Insomma, è difficile (ma non impossibile) fare in modo che le “piccole” approccino alla scena internazionale.

In effetti per variabilità il nostro campionato è forse il peggiore tra i Top5 Europei. In Bundesliga per esempio, le squadre che accedono alle competizioni europee variano di anno in anno. Dalla stagione 2017/18, i club tedeschi ad aver partecipato alle competizioni europee sono 11: Bayern, Borussia Dortmund, Hoffenheim, Leverkusen, Lipsia, Borussia M’gladbach, Friburgo, Union Berlino, Wolfsburg, Schalke ed Eintracht Francoforte. La tanto vituperata Ligue 1 ha portato 9 squadre diverse in Europa: PSG, Monaco, Lione, Marsiglia, Rennes, Bordeaux, Saint-Etienne, Nizza e Lille.

Un campionato per vecchi e stranieri

La Serie A non è un campionato per giovani. Quante volte sentiamo e leggiamo frasi di questo tipo, in una maniera così ridondante, da far sembrare una frase fatta quella che è a tutti gli effetti una sacrosanta verità. Non è l’apparenza a dircelo, bensì la statistica. Ad inizio anno il CIES Football Observatory ha stilato una classifica delle 20 squadre più giovani in Europa: solo Spezia (20°), Torino (19°), Lecce (5°) e Empoli (10°) figuravano in questa classifica. Il problema non è tanto quantitativo, ma qualitativo: nessuna di queste squadre è considerabile una big, mentre nella classifica del CIES sono presenti anche corazzate come Arsenal, Monaco, Barcellona e Bayer Leverkusen.

Numero di giovani & età media:

Nonostante il trend sia in miglioramento rispetto agli scorsi anni, le squadre di Serie A rimangono mediamente troppo vecchie: pensiamo all’Inter (29,13 anni di età media), Sampdoria (28,93), Lazio (28,85) e Salernitana (28,22). Avere una squadra mediamente più anziana non è un problema, a patto che ci sia un numero considerevole di giovani che giocano: per esempio, una squadra con due 19enni ed un 40enne ha la stessa età media di una con tre giocatori 26enni, ma tra le due è preferibile la prima, perché presenta un maggior numero di promesse.

Il problema delle big… troppo vecchie

Alla Serie A però non si può nemmeno attribuire il merito di far scendere in campo tanti giovani. Se le “piccole” stanno iniziando a mettere in campo sempre più promesse, creando un connubio interessante tra freschezza ed esperienza, le grandi rimangono ancorate ad un sistema conservativo. Il Napoli per esempio, non ha giocatori under-22 in rosa (oltre Kvaratskhelia). L’Inter non ha un under-24 che giochi con continuità. Della Roma si ricordano solo Zalewski, Darboe e Kumbulla. La Juventus inserisce i propri giovani in un contesto svalorizzante per le loro caratteristiche, mentre il Milan fa scendere in campo sempre gli stessi under-23.

E’ molto importante che le “grandi” investano sui giovani, anche perché solo vestendo maglie così prestigiose, potranno misurarsi con i palcoscenici europei. Altrimenti si rischia di avere un comparto giovani inesperto e che non farà altro che abbassare la qualità del nostro campionato e della nostra Nazionale; anche perché di giovani italiani ne vengono prodotti sempre meno.

Le nostre 10 riforme:

Analizzati i principali problemi della Serie A, non resta che proporre delle riforme, necessarie per incrementare l’appettibilità del nostro campionato. Si tratta di 10 nuove proposte, che spaziano dal piano sportivo a quello economico, passando di sfuggita attraverso quello commerciale.

1) Serie A a 18 squadre:

I modelli di questa riforma sono la Bundesliga, la Ligue 1 2023/2024 e la Serie A del passato. Infatti la Serie A ha già assaggiato il format del tabellone a 18 squadre: dal 1929-30 al 1933-1934, dal 1952-53 al 1966-67 e dal 1988-89 al 2003-04. In passato l’esigenza di un campionato a 18 squadre era dettata dalla mancanza di partecipanti; adesso la riforma si pone come obbiettivo quello di ristabilire l’equilibrio competitivo del nostro campionato. Avere meno squadre renderebbe la lotta salvezza decisamente più interessante. Infatti non ci sarebbero più squadre che, già salve a metà Febbraio, decidono di perdere punti a destra e a manca, “falsificando” la lotta salvezza e quella per il vertice. Se la riforma fosse introdotta questa stagione, allora una squadra come il Sassuolo (13esima) sarebbe coinvolta nella lotta retrocessione; una bizzarria, se si pensa che gli emiliani  si sono sempre girati i pollici a metà campionato, una volta conquistati i 40 punti. Ho ragione per credere nella validità di questa novità per due motivi.

Selezione più stringente:

In primo luogo ci sarebbe una selezione naturale decisamente più stringente: in Serie A rimarrebbero solo le 16 squadre più forti, mentre le due retrocesse scenderebbero in B, aumentando inevitabilmente la qualità della seconda categoria. Per esempio, questa stagione retrocederebbero squadre del calibro di Verona e Lecce. Le squadre di metà classifica dovrebbero attrezzarsi non solo per costruire rose più competitive, ma anche per mantenere alta la concentrazione fino alla 34esima giornata. Ogni posizione di classifica sarebbe combattuta, mentre adesso non c’è differenza qualitativa tra un decimo ed un 15esimo posto.

Meno partite da giocare:

In secondo luogo diminuirebbe il numero di partite (da 38 a 34). Ciò garantirebbe un maggior riposo, oltre che un più attento lavoro tattico, per le squadre partecipanti: la qualità delle partite si alzerebbe drasticamente. Qualora fosse necessario mantenere un numero costante di partite (vuoi per ragioni di tipo economico), allora le quattro giornate di scarto potrebbero essere occupate dalle gare di Coppa Italia, coerentemente con la rivoluzione del format, di cui vi abbiamo parlato settimane fa.

Per poter applicare il tabellone a 18 squadre, bisognerebbe disputare una stagione, in cui le retrocesse sarebbero cinque: un po’ come sta accadendo per la Ligue 1 2022/23.

2) Introduzione dei playout

Prendendo ancora una volta come spunto il modello tedesco, auspichiamo l’avvento dei playout in Serie A. La riforma mira ad aumentare la competizione nei bassifondi di classifica (sulla falsa riga del punto 1). Molte più squadre sarebbero coinvolte nella lotta retrocessione, al punto che nemmeno la 16esima e la 15esima posizione sarebbero un porto sicuro.

In sostanza vorrei una Serie A a 18 squadre in cui 18esima e 17esima retrocedono direttamente, mentre 16esima e 15esima partecipano ai playoff con le squadre di Serie B. In questo modo non solo aumenterebbe l’appetibilità dei playoff, ma le stesse squadre di B sarebbero costrette a misurarsi con delle compagini appena scese dalla A: sarà inevitabile un livellamento tra squadre di bassa Serie A e di alta serie B.

Infine, la presenza dei playout spegne tutta la malizia di chi vede due squadre in lotta salvezza pareggiare, quasi come se avessero combinato la partita. In uno scontro andata ritorno questa eventualità diventa o degna di un’inchiesta, o certamente impossibile.

3) Ottava in Conference League (settima ai preliminari di Europa League)

Uno degli obbiettivi, proposti nell’introduzione, era quello di permettere alle squadre di medio alta classifica il confronte con le analoghe nei principali campionati europei. Siccome non è possibile (al momento) scalzare le sette sorelle dalla loro poltrona, si potrebbe garantire l’accesso all’ottava classificata in Conference. La scorsa stagione per esempio, il Sassuolo avrebbe partecipato al posto della Roma, mentre questa stagione la partecipante sarebbe la Fiorentina, ma potenzialmente scalzabile da Bologna o Torino. Ciò permetterebbe a queste squadre di esibire i propri talenti sul grande palcoscenico europeo e di aumentare i ricavi derivanti da un match di portata europea (sia pure la Conference): economicamente sarebbe un vantaggio. D’altra parte la settima in classifica disputerebbe i preliminari di Europa League, un po’ come accadeva prima dell’avvento della Conference League.

4) Premere per la privatizzazione degli stadi

Il valore di un campionato si misura anche in base alla qualità delle proprie infrastrutture: oltre ad essere un simbolo di potenza, permettono di disputare partite prestigiossisime (es. i mondiali o le finali di Champions) sul suolo italiano. Sotto questo punto di vista il calcio italiano palesa tutti i suoi limiti: pensiamo al Castellani di Empoli, classificato come il peggior stadio d’Europa dal sito britannico Money. Siccome la pressante burocrazia del nostro paese non stimola i comuni a modernizzare gli anfiteatri del calcio, allora bisogna premere affinché sempre più squadre ottengano uno stadio di proprietà: o mediante una costruzione ex-novo o mediante un’acquisto dell’impianto comunale.

Non escludo che tra diversi anni il possesso di uno stadio di proprietà non possa diventare un requisito necessario per l’accesso in Serie A.

La fattibilità di questa proposta è tutta da dimostrare: la burocrazia rallenta anche le operazioni di costruzione o di acquisto di uno stadio, come testimonia la polemica sollevata da Rocco Commisso, in seguito ad un rallentamento nei lavori per la costruzione del Viola Park.

Ad oggi le uniche squadre di Serie A a disporre di uno stadio di proprietà sono Juventus, Sassuolo, Atalanta e Udinese.

5) Aumento del numero minimo di giocatori CTP (club trained player)

Per CTP (club trained player) si intendono tutti quei giocatori cresciuti nelle giovanili del club di appartenenza, ovvero coloro che tra i 15 e i 21 anni hanno disputato tre stagione nel club “materno”. Ad oggi la Serie A prevede l’obbligo di 4 CTP. Bisogna alzare (per non dire raddoppiare) il numero minimo dei club trained player. Il motivo è piuttosto semplice: i club sarebbero quasi costretti a far giocare i giovani e quindi a valorizzare il settore giovanile.

In un calcio ideale queste imposizioni non dovrebbero esistere, ma siccome i club italiani (soprattutto quelli grandi) non riescono a dar spazio ai propri giocatori spontaneamente, bisogna intervenire con delle forzature prima che la struttura imploda su se stessa.

Per il momento escludo soluzioni più radicali, come l’obbligo di due o tre giovani nella formazione titolare; ma chissà che siffatte regole non possano giovare, anche solo in forma transitoria.

6) Vincitrice di Coppa Italia in Champions, quinta classificata in Europa League

Ricollegandoci alla nostra riforma della Coppa Italia, proponiamo l’Europa League per la quinta classificata, in caso di vittoria della coppa da parte di una squadra al di sotto del quinto posto. Questa scelta trova ragion d’essere nella necessità di rendere più imprevedibile la corsa al quarto posto. Di per sé la bagarre Champions è già avvincente, ma siccome è necessario valorizzare la Coppa Italia, è meglio proporre una riforma che permetta una crescita di entrambe le competizioni.

Immagino un’Atalanta quinta che, in virtù della vittoria in Coppa Italia, va in Champions, scalzando il Milan: l’imprevedibilità sarebbe dietro l’angolo. Per alcuni sarebbe strano vedere squadre di metà classifica che, vincendo la Coppa Italia, accedono alla Champions League; eppure questa sarebbe solo un’eventualità eccezionale, dato che (con questa riforma) le “grandi” non avrebbero più interesse a snobbare la coppa.

7) Diritti televisivi equamente divisi tra tutte le squadre di Serie A

Questa riforma si ispira alla Premier League. Infatti nel massimo campionato inglese, i diritti televisivi vengono spalmati equamente su tutte le posizioni di classifica, così che un Southampton 20esimo guadagna (in termini di dritti TV) la stessa cifra del Manchester City primo.

La distribuzione:

In Serie A invece, la distribuzione dei diritti tv non è omogenea ed è influenzata da diversi fattori (fonte Calcio&Finanza): 50% ripartiti uniformemente (534mln); 15% in base a punti e posizione in classifica (160mln); 10% in base ai risultati delle ultime cinque stagioni (106mln); 5% per i risultati sportivi conseguiti dalla stagione 1946/47 fino alla sesta antecedente a quella di riferimento (53%); 8% in base all’audience televisiva certificata da Auditel (85mln); 12% sulla base degli spettatori paganti che hanno acquistato l’accesso per assistere alle gare casalinghe disputate negli ultimi tre campionati (128mln).
Inutile dire che fattori come quello storico sono profondamente ingiusti: perché una squadra storica, ma magari vetusta nella proposta, dovrebbe guadagnare più di un club dal gioco attrattivo ma fondato di recente? La verità è che o la distribuzione è totalmente equa, o si valutano solo quei fattori realmente incisivi: quelli legati al presente (o al recente passato) di un club.

Se una distribuzione equa venisse applicata anche in Serie A, allora, almeno in parte, il divario tra la potenza d’acquisto delle “grandi” e delle “piccole” diminuirebbe. Oltretutto molte società non avrebbero la tentazione di preferire il famoso paracadute, cioè un indennizzo in denaro per le squadre retrocesse, alla permanenza in Serie A.

8) Riduzione del numero di giocatori in prestito

La valorizzazione dei giovani deve essere un must per le big di Serie A. Per questa ragione non possiamo permettere che i giocatori più giovani, magari sottratti prematuramente ai loro club “materni”, finiscano vittima della girandola di prestiti. D’altronde il gioco lo conosciamo ormai tutti: le “grandi” si accaparrano il giovane e lo mandano in prestito per farsi le ossa; gli acquirenti però, non hanno un così grande interesse nel valorizzare giocatori di proprietà altrui, salvo la presenza di eventuali obblighi o diritti di riscatto. I giovani prestati diventano quindi dei panchinari di lusso o, in rari casi, titolari. Questa dinamica, se reiterata per più stagioni, può portare il giovane a perdere le speranze di poter giocare con il grande club che lo ha acquistato: a questo punto inizia la parabola discendente.

Per ridurre all’osso situazioni di questo tipo, è giusto ridurre il numero massimo di giocatori cedibili in prestito. Dagli 8 attuali, passerei a 5, anche per dare un segnale forte: la politica dei prestiti non può e non deve veicolare la mercificazione dei giovani talenti, ma anzi dovrebbe garantire la loro valorizzazione.

9) Rimozione della gara del lunedì

Non c’è motivo di essere critici nei confronti del “campionato spezzatino”; in fin dei conti è comprensibile che la Lega Serie A cerchi di spalmare le partite su tutte le fasce orarie del weekend, aumentando i ricavi. Tuttavia la gara del lunedì mi è sempre sembrata superflua. Nei grandi campionati (Premier League, Bundesliga) è praticamente inesistente. Inoltre, con il passaggio a 18 squadre (punto 1), tutte e 9 le partite (che compongono una giornata) possono essere spalmate dal venerdì sera fino alla domenica.

Una giornata che va dal venerdì al lunedì è troppo dispersiva, aldilà di tutti i discorsi che si possono fare sulla vittoria del calcio delle paytv. In Germania furono proprio i tifosi tradizionalisti, schierati contro le pay-tv, a far eliminare la gara del lunedì.

10) Valorizzazione del Gran Galà del Calcio

Il Gran Galà del Calcio è un evento organizzato dall’AIC (Associazione Italiana Calciatori). Il suo obbiettivo è premiare i migliori giocatori, allenatori, dirigenti e società della stagione di Serie A appena conclusa. Una cermonia forse sconosciuta a coloro che seguono la Serie A con un certo distacco: il che è un problema. Quando si parla di calcio, qualsiasi suo conoscitore, sia pure il meno informato, sa che cosa è la cerimonia del Pallone d’Oro. Ora, quel che dovrebbe fare la Lega Serie A, in accordo con l’AIC, è glorificare l’evento del Gran Galà, rendendolo una sorta di cerimonia conclusiva per il campionato.

La valorizzazione può passare attraverso la presenza di ospiti illustri; ma anche attraverso la pubblicazione di una vera e propria top30, che sarà enfatizzata da tutti i giornali e i giornalisti coinvolti nella selezione dei giocatori. Inoltre eviterei di tenere l’evento nei giorni di poco antecedenti o successivi alla cerimonia del Pallone d’Oro: nel mese di Novembre l’attenzione del pubblico si sposta verso la classifica di France Football, piuttosto che quella dell’AIC. Celebre fu il Gran Galà del Novembre 2021: fece notizia solo perché partecipò Ronaldo, dopo aver disertaato la cerimonia del Pallone d’Oro, tenutasi lo stesso giorno.

CONCLUSIONI:

Insomma, con queste riforme potremmo in parte raggiungere gli scopi che ci eravamo prefissati: diminuire il divario tra “grandi” e “piccole”, promuovendo la crescita tecnico-tattica (ed economica) di entrambe (punto 1, 3, 4, 6 7); garantire ai giovani più possibilità di emergere (punti 5 e 8); aumentare la competizione su tutti i fronti (1, 2, 3 e 6); aumentare la spettacolarità della Serie A come evento (punto 10).

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