Quando Dan Peterson poteva allenare il Milan

Cosa lega Dan Peterson, uno dei più grandi allenatori della storia della nostra pallacanestro, al mondo del calcio? La figura di Silvio Berlusconi.

Visionario e diviso per natura, da presidente del Milan ha saputo mettere in piedi una vera epopea calcistica, orchestrata dal suo genio e supportata dall’eterno compagno di viaggio Adriano Galliani, capace di dominare in Italia e in Europa.

Tutto, ovviamente, è partito da una scommessa vinta: l’anno è il 1987, Berlusconi è presidente del ‘’Diavolo’’ da un anno e mezzo e sta cercando l’allenatore giusto per rilanciare le ambizioni della squadra, dopo l’esonero di Liedholm e il breve regno di un allora esordiente Fabio Capello (che poi tornerà sulla panchina rossonera, ma questa è un’altra storia). Silvio è assiduo promotore del nuovo che avanza, è affascinato da un certo tipo di personalità e nel suo Milan vuole vedere bel calcio, grinta e coraggio. Caratteristiche che inquadrano l’identikit del candidato perfetto, colui che di lì a poco sarebbe poi diventato il tecnico capace di portare i rossoneri ad un livello mai visto, fin lì inesplorato: Arrigo Sacchi. Che però, a differenza di quanto si possa pensare, non fu il primo e unico obiettivo della lista di Berlusconi. O almeno, non da subito.

Perché nella testa del patron, in quell’estate dell’87, ronzava insistentemente il nome di Daniel Lowell Peterson, per gli amici Dan. Un piccolo sergente di ferro americano sbarcato in Italia per cambiare la concezione e l’interpretazione del gioco del basket e per lasciare un segno ben visibile nell’immaginario collettivo nazionale, tra spot pubblicitari e telecronache che ne risaltano ancora oggi la simpatia e la professionalità. Nella palla a spicchi, invece, scrisse pagine importanti alla guida delle squadre più rappresentative del bel paese: la Virtus Bologna e, soprattutto, l’Olimpia Milano. La ‘’sua’’ Olimpia Milano, con cui ha vinto e stravinto in giro per il mondo: 4 scudetti, 2 Coppe Italia, una Coppa Korac e una Coppa Campioni. Attirando così l’attenzione di Berlusconi, che in quel metro e sessantotto scarso, in quella dialettica mista tra americano, spagnolo e italiano, vedeva, oltreché un personaggio di spicco già ben noto e amato nella città di Milano, il carisma, la leadership e l’energia giusta per il suo Milan. E soprattutto la mentalità adatta, vincente e avanguardista, con cui ha saputo regalare momenti di altissima pallacanestro orchestrando campioni del calibro di Mike D’Antoni, Dino Meneghin e Bob Mcadoo.

Dan fu segnalato da Adriano Galliani, che in un’intervista disse questo:

“Berlusconi è un innovatore e pensavamo che l’allenatore dovesse essere prima di tutto un motivatore. Ritenevamo il coach Dan Peterson un innovatore e un uomo di grande talento. Tanto gli sport sono uguali a livello di motivazioni e pensavamo che potesse imparare certi dettami, ma il coach ci ha detto di no e virammo presto su Sacchi. Ci è andata bene comunque’’.

Il coach, dalla sua, raccontò questo ai taccuini della Gazzetta dello Sport:

“Ricordo quando a gennaio del 1987 Galliani e Berlusconi fecero un sondaggio con me per farmi diventare l’allenatore del Milan. Io guidavo l’Olimpia Milano e non volevo distrarre la mia squadra, dissi che ne avremmo parlato a fine stagione. Nel frattempo, presero Sacchi e andò bene così, anche se sono sicuro che avrei fatto bene nel calcio, mi sarei circondato di gente che ne capiva e avrei impostato la mia disciplina e i miei modi di allenare. Se fossi stato allenatore del Milan mi sarei fatto affiancare da Massimo Giacomini, che su quella panchina c’era già stato. Un tecnico che dimostrava capacità intellettuali, grande intelligenza, un’intelligenza applicata allo sport. Aveva il giusto equilibrio nelle cose e a Massimo avrei affidato il coordinamento di tutto: programma e allenamenti, mentre io avrei scelto le persone giuste per creare un gruppo vincente, gente disposta a sputare sangue, con un programma atletico che avrei affidato a Claudio Trachelio, il mio preparatore all’Olimpia. E avrei chiesto un coordinatore per la difesa e l’attacco. Come in NFL. Forse per questo Berlusconi mi aveva cercato: per mettere in pratica un nuovo approccio tecnico. Non sarei stato il pupazzo di qualcuno, avrei ascoltato senatori come Tassotti e Baresi e giovani come Maldini allo stesso modo’’.

Voleva sorprendere, Silvio. Voleva rischiare, affidando ad un uomo del parquet una delle panchine più importanti del grande calcio. La curiosità rimane altissima: cosa avremmo visto? Sicuramente, spettacolo. E perché no, vittorie. Ma a questo ci penserà il profeta di Fusignano e il trio degli olandesi, di lì a poco.

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