La Giamaica e i Mondiali 2026

Mini-Storia Calcistica Della Giamaica:

La Giamaica non si qualifica a un mondiale dal 1998, unica partecipazione alla competizione, dove sono usciti ai giorni, arrivando al terzo posto, sopra il Giappone e sotto Argentina e Croazia.

 

Nella Gold Cup il miglior risultato è stato il 2⁰ posto, raggiunto nel 2015 e nel 2017, mentre la Coppa dei Caraibi è entrata nel Palmarès per 6 volte: (1991, 1998, 2005, 2008, 2010 e 2014).

Mondiali 2026, Oriundi e Naturalizzazione:

Il progetto dei Reggae Boyz è quello di qualificarsi al mondiale 2026.

 

In che modo ciò potrebbe avvenire? L’idea è quella di naturalizzare vari giocatori, in particolare quelli residenti in Inghilterra.

 

Michael Antonio, Demarai Gray e Bobby Decordova-Reid si sono già “convertiti”, mentre si aspettano novità per:

 

Rico Henry del Brentford, Max Aarons del Norwich City (che attualmente ha rifiutato perché crede di poter venir convocato con l’Inghilterra), Ivan Toney (che fino al 15 gennaio 2024 sarà squalificato, ma per il momento ha rifiutato per lo stesso motivo di Aarons), Morgan Gibbs-White del Nottingham Forrest, Nathan Ferguson del Crystal Palace e, infine, 3 giocaotri delle giovanili.

 

Kido Taylor-Hart dell’Arsenal, Luke Badley-Morgan ex Chelsea (ora allo Stoke City) e Xavier Benjamin del Cardiff City, ex Fulham.

 

Certo, così non diventerebbe la nazione più forte esistente, ma sarebbe più che sufficiente per qualificarsi alla coppa del mondo.

 

Avrebbero potuto far parte della nazione caraibica anche Raheem Sterling e Kalvin Philips, grazie alle loro origini, però hanno preferito scegliere la nazione dei 3 leoni.

Oriundi e Naturalizzati, Un Modello Sempre Più Comune:

Il modello degli oriundi e dei naturalizzati è qualcosa sempre più comune nel mondo del calcio, dove gli esempi sono infiniti:

 

Il Marocco, con 14 giocatori su 26 nati all’estero ai mondiali. Il Qatar, con 7 giocatori nella rosa dei mondiali nati e cresciuti nel paese, 4 naturalizzati e il resto tutti provenienti da altre comunità arabe.

 

Il Timor Est, paese del sud-est asiatico che è stato squalificato nel 2017 per “naturalizzazioni troppo semplici” di brasiliani, l’obiettivo era puntare ai mondiali. Risultato? Squalificati dal mondiale (sul campo non sarebbero comunque riusciti, erano già stati eliminati) e dalla Coppa d’Asia del 2019.

 

Il Ghana ha reclutato poco prima del mondiale 2022: Iñaki Williams, Tariq Lamptey, Mohammed Salisu, più vari tentativi per Hudson-Odoi e Nketiah.

Perché è così popolare questo fenomeno? Pro e Contro

Potremmo continuare per ore, ma il punto è che è un modello sempre più seguito (che non si sa se sia un bene o un male), alle piccole nazioni rimane questa soluzione per provare a risollevarsi, gli “scarti”, le “briciole” delle nazioni europee. Anche per le “grandi” questo è un vantaggio però.

 

Dove da una parte esistono i casi come Mahrez, dall’altra esistono i casi Benzema (che come detto da lui stesso, indossa la maglia della Francia per questioni sportive, ma il suo paese è l’Algeria) e Zidane.

 

Che sia una strategia molto probabilmente vincente è vero, ma è altrettanto triste se ci si pensa bene.

 

Non si può considerare nemmeno una regola ingiusta quella della naturalizzazione e degli oriundi, o almeno quella imposta dalla FIFA, è una tematica di cui si discute dai tempi dell’antica Grecia e, nel corso dei secoli i pareri sono sempre cambiati.

 

Anche adesso, mica in tutte le parti del mondo funziona allo stesso modo? No, anzi. Ci si adatta alle differenze e, quindi, la questione “cittadinanza” è diversa in ogni parte del mondo.

Gli slot extracomunitari, le condizioni economiche delle nazioni africane, la preparazione atletica e accademica che si ha in Europa non si ha da nessun’altra parte, soprattutto per questo i calciatori preferiscono giocare per una nazione europea, oltre al fatto che probabilmente quest’ultima sarà di un livello qualitativo più elevato.

 

È un ciclo che non finirà mai, è sempre stato così e, a meno che non arrivino altre nazioni a seguire il modello dell’Arabia Saudita, sarà molto difficile cambiare ciò.

 

Se dovesse avvenire un cambiamento, in realtà si tratterebbe soltanto di un ribaltamento della situazione, non ci sarebbe una soluzione definitiva, ma forse il calcio mondiale inizierebbe a essere di gran lunga più competitivo.

Possibili conseguenze:

Se la Giamaica dovesse qualificarsi ai mondiali e dovesse centrare gli ottavi di finale o anche i quarti, moltissimi bambini, ragazzi, giovani, rimarrebbero affascinati dallo sport più seguito del mondo e, perciò, aumenterebbero gli investimenti delle squadre e delle infrastrutture, fino a formare una generazione d’oro (che poi vinca o meno qualcosa è irrilevante, sarebbe come il Belgio).

 

Questo discorso è esteso a tutte le nazioni che tendono a seguire questo schema, incluse quelle citate precedentemente.

 

Non sottovalutate affatto questa linea di pensiero.

 

Citiamo nuovamente il Marocco attuale e, il Senegal degli anni 2000, che in 2 anni, dopo numerose ricerche di giocatori dalle origini senegalesi nei campi francesi, sono arrivati ai quarti dei mondiali e oggi si ritrovano con campioni locali come Koulibaly e Mané.

 

In conclusione, lo sport non si attiene rigidamente alle leggi di ciascun paese e, il contesto sociale in cui alcuni atleti vivono, portano a una decisione o a un’altra.

Il fenomeno è ben più complesso di quanto ci si possa immaginare.

 

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