La cerimonia di assegnazione del pallone d’oro si è conclusa esattamente come ci si aspettava. Dicendo questo, però, emerge subito una criticità di un evento che, nel tempo, ha perso progressivamente punti e credibilità: praticamente tutto il mondo conosceva già l’esito, da giorni. Ovvero, la vittoria di Lionel Messi. L’ottavo sigillo della carriera dell’argentino arriva e quasi non ce ne accorgiamo, abituati ormai alla grandezza del calciatore, del genio, dell’uomo. Che, nel criticato mondiale di Losail, quasi un anno fa, ha portato finalmente a compimento la missione più importante della carriera, vincendo quella coppa che aspettava da anni. Eguagliando l’ineguagliabile, Diego Armando Maradona. E trascinando un popolo intero in cima all’universo. L’ha fatto da protagonista, da leader, da campione qual è sempre stato. E questo è bastato per assegnarli il premio individuale più ambito della storia del calcio.
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Il pallone d’oro a Messi, un premio alla carriera più che al merito?
Non dico che è poco, assolutamente. Ma, estendendo il discorso su una stagione intera, è difficile non pensare di assegnare il premio a Erling Haaland. Il grande sconfitto da 64 gol e 10 assist in 64 partite, vincitore di tutto con il Manchester City alla sua prima stagione in Inghilterra. Il bomber norvegese ha segnato a raffica per tutto l’anno e ha lasciato il suo segno ben impresso in tutti i successi della squadra di Pep Guardiola. Nonostante ciò, si è dovuto accontentare del secondo posto a discapito della Pulce. Che, tolto il mese e mezzo glorioso del Qatar, non si può dire che abbia avuto una stagione felicissima. Una stagione che lo ha allontanato dal calcio che conta e avvicinato alla realtà della MLS e, in particolare, dell’Inter Miami, squadra in cui milita attualmente.
E non è la prima volta che una vittoria di Messi scatena dibattiti sulla validità del premio. Di esempi ce ne sono molti, da Iniesta e Sneijder (a proposito di grandi mondiali…) fino a Milito, passando per Lewandowski e Van Dijk. Non potrebbe essere altrimenti, però. Perché, a mancare, è la solidità e l’unicità dei criteri di assegnazione. Si tende sempre più a guardare il nome, la carriera e la storia che acchiappa introiti e copertine e sempre meno il merito. E’ questo aspetto che ha reso il pallone d’oro un riconoscimento prettamente elitario, riservato a pochi, il cui fine principale è sempre più quello di fare rumore. Tanto, e scontato, rumore.
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