Juric a rischio? L’Atalanta ha difficoltà nel giocare con fluidità e trovare la via del gol.
Le immagini arrivate da Udine sabato hanno raccontato più di tante parole. Due sguardi, quelli del presidente Antonio Percassi e di Ivan Juric, entrambi carichi di dubbi e smarrimento, hanno sintetizzato alla perfezione il momento dell’Atalanta. Il tecnico croato, visibilmente deluso, lo ha ammesso anche nel post-partita:
“Oggi ci sono rimasto male”.
Parole che riflettono uno stato d’animo condiviso in società. Da ieri — e, salvo un tracollo europeo mercoledì a Marsiglia, almeno fino a domenica contro il Sassuolo — Juric resterà sì in sella, ma sotto attenta osservazione. Non ancora sull’orlo dell’esonero, ma dentro una fase di valutazione continua da parte del club e, soprattutto, della squadra, chiamata a reagire sul campo dopo segnali sempre più preoccupanti.
Un club inquieto e una classifica deludente
A Bergamo cresce la preoccupazione. La Dea è attualmente decima in classifica e deve ancora affrontare Napoli, Inter e Roma, tre ostacoli che potrebbero indirizzare la stagione. Non si tratta solo di una questione di risultati: per l’Atalanta, ormai stabilmente abituata all’Europa, il rischio di scivolare nell’anonimato sarebbe un colpo pesante, anche dal punto di vista economico e d’immagine.
Gli alibi di Juric — squadra ancora da amalgamare, l’estate complicata di Lookman, gli infortuni — iniziano a perdere consistenza. In società cresce una domanda chiave: quanto il messaggio tecnico e mentale dell’allenatore è davvero passato al gruppo?
Il paradosso tecnico: meno emergenza, ma più confusione
Le criticità principali sono tre:
- Scadimento del gioco e dell’atteggiamento mentale;
- Dubbi sulle scelte tattiche e di gestione;
- Difficoltà nel valorizzare una rosa profonda e competitiva.
Il paradosso è evidente: oggi l’Atalanta gioca peggio di quando era in emergenza. La squadra è meno aggressiva, sotto ritmo, e ha perso la fluidità che l’aveva resa imprevedibile. Il dato difensivo resta buono (quinta difesa del campionato), ma in attacco la manovra si è ingolfata: troppo possesso sterile, pochi tiri in porta, tante palle perse (ben 120 a Udine contro 55 recuperate).
Altro tema, la discontinuità. La Dea alterna prove convincenti ad altre negative, spesso in base al valore dell’avversario. A Udine ha tenuto palla per oltre il 60% del tempo, ma non ha mai realmente impensierito la difesa friulana. E quando manca la reazione emotiva, come denunciato dallo stesso Juric (“Il body language di qualcuno non mi è piaciuto”), la squadra si spegne.
Le scelte discutibili e il turnover
Sul banco degli imputati anche alcune decisioni tecniche:
- Lookman usato da centravanti e poi spostato nuovamente sull’esterno;
- De Roon schierato centrale difensivo senza emergenze;
- Sulemana e Lookman mai insieme dall’inizio;
- Cambi tardivi, come il passaggio al 4-2-3-1 arrivato troppo tardi sia a Cremona che a Udine.
Il turnover, da forza potenziale, è diventato un’arma a doppio taglio. Le rotazioni — talvolta drastiche, come a Udine con tutto l’attacco rivoluzionato, talvolta troppo timide — hanno generato malumori e incertezze. E ora Juric deve ritrovare il giusto equilibrio tra scelte coraggiose e gestione dello spogliatoio.
Un bivio decisivo
La sensazione, in casa Atalanta, è che le prossime partite possano segnare un punto di svolta. Servirà una reazione immediata per evitare che la stagione deragli e che la fiducia del club evapori del tutto. Perché questa Dea, nata per ambire all’Europa, oggi rischia di perdersi nell’anonimato. E Juric, da predicatore di intensità e coraggio, deve dimostrare di poter riaccendere quella fiamma che a Bergamo, da troppi mesi, sembra affievolita.




