Gianluigi Buffon ha rilasciato un’intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport.
Al ritorno dal Sudafrica, lei aveva detto: «Qui abbiamo sbagliato qualcosa, non c’è dubbio. Ma attenzione: tra qualche anno ci ritroveremo a festeggiare le qualificazione, non un Mondiale vinto». Profetico?
«Avevo capito quello che stava succedendo, i cambiamenti in corso più veloci di quanto si pensasse. Era una provocazione, ma fino a un certo punto. Volevo anche che non ci raccontassimo storie che non esistono più».
Storie che, però, non coinvolgono Spagna e Francia: loro sono ancora grandissime.
«Un momento la Francia è una grande da trent’anni, la Spagna da quasi venti, Loro sono nel presente. La nostra storia è molto più lunga. Stiamo vivendo un periodo di transizione e non abbiamo capito quale strada prendere. Paghiamo anche gli errori del passato. I risultati di oggi risalgono a venti anni fa, a quando ci siamo adagiati sulla nostra forza, su Buffon, Cannavaro, Totti. Pensando che sarebbe stato eterno per grazia ricevuta. Già allora dovevi ripensare a modelli tecnici e tattici, ma siamo stati cicale».
E adesso?
«Sono in Figc da oltre due anni e non potete negare che qualcosa sta succedendo. Giovanili vincenti, progetti. Ma l’altro giorno sorridevo: se riusciremo a invertire la rotta, non godremo noi dei risultati. Però è una scelta coraggiosa che la politica spesso non fa, attenta ai voti e quindi al tutto e subito, senza pensare alla programmazione. Noi dovevamo farlo, ci vuole pazienza. E comunque: se lavori bene, qualche risultato arriva subito».
E se lavori male?
«Semplice: tra dieci anni lei intervisterà un altro Buffon al mio posto, e domande e risposte saranno le stesse».
Soluzioni?
«Ripartire dal basso: intendo da sette a tredici anni, quando c’è il vero imprinting. Dai quindici anni puoi sempre migliorare, però il talento si forma prima, oltre all’aiuto di madre natura che non trascurerei. Con Prandelli stiamo parlando per capire come impostare questo lavoro, ma volevamo aspettare le qualificazioni per definire il tutto. E se poi va male, ci siamo detti? Tutti via, si torna a casa, arriva uno nuovo con altre idee e magari cancella il progetto… Se si cominciano progetti così, ci vuole stabilità».
Abolire il risultato nelle giovanili, premiare il gioco e far vincere con gli “expected goals”: può essere un’idea?
«Può esserlo. Noi però siamo cresciuti con i risultati anche da bambini: giocavamo per vincere, poi la tattica ha preso il sopravvento nell’età adolescenziale. Ne parlo spesso con Maurizio Viscidi (coordinatore delle giovanili, ndr): grandi risultati nelle Under, ma a un certo punto la crescita si ferma. Questa nostra vocazione tattica è sicuramente limitante, però ci serve anche a coprire alcune carenze: non è che ci sia uno come Yamal in giro… Ma una cosa è sicura: dobbiamo tornare ad allenare le abilità».
Dal futuro, al presente: Irlanda del Nord, Galles, Bosnia. Meglio fuori casa, come dice Materazzi? Meglio una sana paura, come sostiene qualcuno?
«Non la penso come Marco: in partite così ogni aiuto conta e il pubblico dà una grandissima mano. E la paura attanaglia, non ti fa giocare: ci vuole invece il giusto rispetto, tenendo ben presente che per arrivare alla finale bisogna passare per la semifinale… non dobbiamo annegare in una nuova Macedonia».
Come dice il ct: siamo forti ma dobbiamo crederci di più.
«Esatto. Autostima. convinzione. Ma c’è altro. I ragazzi vogliono anche essere apprezzati, hanno bisogno d’affetto. Di entusiasmo. Loro danno disponibilità totale. Posso fare un appello? Vogliamo bene all’Italia. Tutti».
Non tutti le vogliono bene oggi?
«No. E continuare con stupidi paragoni con il passato fa solo sentire inadeguati quelli di oggi. Con la Nazionale c’è sempre stato un gioco al massacro, lo so bene, ma cerchiamo di capire il momento storico: a chi giova?».
Si riferisce alle critiche alla squadra e a Gattuso?
«Gattuso allena da dodici anni, è un grande professionista: non mi piace e non capisco questa prevenzione nei suoi confronti. Con lui parlo di soluzioni e idee, prima e dopo la parti-ta, in settimana. Ma decide tutto lui, tipo il doppio 9 che è un’intuizione geniale: quando mi ha anticipato, gli ho chiesto se fosse sicuro. Mi ha spiegato come avrebbe funzionato, i movimenti. Ora la formula non si tocca più».
Gattuso è il ct giusto?
«Rino è il ct giusto, è la figura migliore che si potesse scegliere. E voi giornalisti lo sapete».
In che senso?
«Nel senso che parlate con i giocatori più di noi dirigenti, e sapete esattamente cosa pensano di Rino. Non pensi che non ci siamo accorti che i media che ci seguono sono meno critici».
Si diceva sindrome di Stoccolma una volta?
«No, è perché state toccando con mano il bello che c’è e che può diventare bellissimo. Le critiche ingiuste vengono soprattutto da fuori. E io che in Nazionale ho giocato vent’anni so una cosa: l’Italia vince soltanto se si fa gruppo. Proprio quello che Rino sta creando. Se poi se si sbaglia, bene, si valutano le colpe e tutti a casa. Ma prima no, per favore…».
Con la Norvegia non era facile non essere critici. Giocatori crollati, sostituzioni in ritardo…
«Essere critici è il vostro dovere, ci fa bene. lo ho solo detto che fino al 78′ eravamo 1-1: non è forse vero? Poi un crollo mentale, più che fi-sico, inaccettabile. Su questo dobbiamo lavorare tanto. Succedeva anche con Spalletti: dopo cinque partite di Nations da grande squadra, il blackout. Inspiegabile. Ma la Norvegia…».
Non è male la Norvegia.
«Male? Una top. Una delle tre o quattro più forti d’Europa. La Norvegia farà strada al Mondiale: ha entusiasmo perché sa di poter scrivere la storia, due o tre talenti che spaccano, e una fisicità unita al dinamismo, impressionante, non come trenta anni fa quando i giganti erano immobili, impacciati. A leggere la loro distinta a San Siro mettevano paura…».
Perché?
«Sette su undici della formazione titolare erano da 1,89 a 1,96. E poi con Haaland cominciano sempre da uno e mezzo a zero».
Però quattro gol in un tempo sono tanti.
«Questo è il vero problema. Sul 2-1 per loro, devi restare tranquillo e aggrappato alla partita, accontentarti magari che finisca così, invece di sbilanciarti per frustrazione. Capisco i giocatori, ma devi stare lì, concentrato, reparti stretti e magari da una mischia nasce il 2-2…Al massimo accetta il 2-1: perdi sempre, ma non è il 4-1 che fa male. Dobbiamo cambiare, non possiamo subire più questi crolli emotivi, si stanno ripetendo. Impossibile essere in partita novanta minuti: a volte stai settanta, ma negli altri venti devi gestire e non far succedere disastri. Ne parlavamo anche con Spalletti. Non puoi prendere tre gol in dieci minuti. Lavoreremo su questo. Se risolviamo, ce la giochiamo con tutti».
Facciamo un nome al di là di ogni sospetto: Pep Guardiola. Il numero uno. E se da domani il ct fosse lui cambierebbe tutto?
«La Nazionale è un brutta bestia che si maneggia con cura, ma con poco tempo a disposizione. Quello che di Rino mi piace di più è la sintesi. Forse dimenticate i 19 gol in 6 partite: quando mai l’Italia ha segnato tanto nella sua storia? Quante goleade ricordate? E qualcuno s’è lamentato per i “soli” tre o quatto gol all’Estonia: ma si scherza? Abbiamo un punto fermo per il futuro: il gol, e attaccanti forti che giocano assieme».
C’è altro da recuperare, cominciando da Chiesa?
«Dobbiamo recuperare tutti i migliori: se qualcuno si mette in evidenza, non c’è preclusione di sorta, anche perché ne abbiamo bisogno. Aspettiamo Chiesa: ce ne sono pochi in Europa come lui. Ma Rino non ha lasciato a casa nessuno che lo meritasse. Ripeto: conta il gruppo…».
Il gruppo e anche qualcosa intorno. Com’è possibile che il sistema Italia non trovi una giornata libera per rinviare il campionato?
«Tutti ci battiamo il petto al momento dell’inno, poi magari ci asciughiamo lacrime finte sulla camicia dopo la sconfitta… Per essere chiari: ci aiuterebbe tantissimo avere quei giorni liberi. Ma dobbiamo trovare il modo di essere più forti anche di queste concessioni che non arrivano. Perché, come dice Rino, siamo forti. Punto. Il Mondiale è una magia da far vivere al paese, non possiamo non andare. Aiutiamo il sogno».
Può immaginare la terza esclusione di fila dal Mondiale?
«Al dopo pensiamo dopo. Il focus ora è soltanto la partita».
A proposito di sogni… come facciamo a non chiederle di Louis Thomas dopo i sei gol con l’Under 19 ceca?
«Mio figlio? Ah, be, fino a quattro o cinque mesi fa aveva l’uno per cento di possibilità di essere un calciatore. Ora ha soltanto lo zero virgola cinque. Perché non ha ancora fatto niente, ha dieci minuti di Serie A addosso e gli ho detto di non leggere niente che lo riguardi. Stiamo correndo troppo e non gli fa bene. Quando giocavo e cominciavano i primi elogi, papà e mamma mi ricordavano che in famiglia una decina di persone avevano già vestito maglie di varie nazionali, quindi non facevo niente di speciale. E servito tantissimo».




