Napoli, lo Scudetto è una lezione di stoicismo

Terzo capitolo: Lo Scudetto del Napoli

Il terzo Scudetto del Napoli ha un peso culturale, sportivo e simbolico determinante. 33 anni di dominio del Nord, prima di vedere lo Scudetto albergare nel Sud Italia. 20 anni di egemonia di Inter, Milan e Juventus prima di vedere lo Scudetto, conquistato da una squadra di portata storica inferiore. 19 anni di presidenza prima di vedere lo Scudetto nelle mani di Spalletti e De Laurentiis, da sempre derisi per lo scarso numero di trofei alzati. Insomma, dopo 33 anni lo Scudetto si ammanta di un fascino inedito e per questo inebriante.

Quel che mi colpisce di più però, non è né l’aspetto culturale, né quello sportivo, né tanto meno quello simbolico (per quanto coinvolgenti possano essere); infatti nel trionfo del Napoli c’è una vittoria anzitutto ideologica. I Partenopei hanno incarnato quel modello di perseveranza e razionalità, che si addice non tanto ad una semplice società sportiva, quanto più ad un’autentica filosofia. Quale miglior sistema di pensiero rispecchia l’operato del Napoli su tutti i fronti (calciomercato, tattica e mentalità) se non lo stoicismo?

In fin dei conti leggere le pagine del Manuale di Epitteto è un po’ come guardare una partita del Napoli. Rimani affascinato dalla concretezza dei contenuti (filosofici o calcistici) e dal modo in cui vengono trattati: sembrano apparentemente semplici, ma la loro elaborazione è frutto di riflessioni davvero complesse. Proprio come le azioni del Napoli, la cui esecuzione sembra banale, ma solo perché dietro c’è una strategia pensata nei minimi dettagli.

Il trionfo dell’umiltà contro ogni roboanza

Lo stoicismo è innanzitutto un esercizio di umiltà: tant’è vero che Marco Aurelio praticava lo stoicismo per non eccedere nella tracotanza, tipica degli imperatori. Il mercato del Napoli non è forse il miglior esempio di umiltà (calcisticamente parlando)? I Partenopei decidono di stravolgere totalmente la propria rosa, cedendo giocatori fino ad allora ritenuti incedibili: Mertens, Koulibaly, Insigne e Fabian Ruiz. I tifosi partenopei rideranno al pensiero di poter ritenere Minjae, Kvaratskhelia e Lobotka dei sostituti poco validi. Eppure io ricordo quanto fu criticato il calciomercato estivo del Napoli: dagli hashtag #A16 fino alle classifiche di opinionisti che mettevano il Napoli in settima posizione. La pretesa di valutare i nuovi acquisti ancor prima vederli giocare, è frutto di faziosità o ingenuità. La verità è che il calciomercato di Giuntoli e De Laurentiis ha migliorato la rosa dei Vesuviani sotto tutti i punti di vista: l’acquisto di giocatori semi-sconosciuti, ma non per questo meno validi, è stato un benefico bagno di umiltà. E non c’è godimento migliore nel vedere il Napoli fallire con il roboante Ancelotti e vincere con il vituperato Spalletti: è il trionfo della progettualità sulla retorica.

Un miglioramento tecnico e, soprattutto, mentale

Kvaratskhelia si è dimostrato molto più completo di Insigne: l’esplosività del georgiano non è paragonabile a quella dell’ex-capitano azzurro. E non si tratta di sputare nel piatto dove si è mangiato, come si è spesso sentito dire sulla questione del rinnovo d’Insigne; semplicemente ADL ha compreso prima degli altri che Insigne, ma anche Koulibaly e Mertens avevano chiuso un ciclo con lo Scudetto sfiorato nel 2018. Di lì in poi i Partenopei hanno sempre accusato l’incapacità di venir fuori nei momenti decisivi: come se lo smacco di Firenze bruciasse come una ferita indelebile. Un totale ricambio della rosa ha dato al Napoli quella freschezza mentale, necessaria per vincere, che dico dominare, un campionato. Senza scordare che ogni singola operazione è stata condotta aumentando gli incassi, diminuendo il monte ingaggi e ringiovanendo la rosa. Il Napoli ha conquistato il presente, assicurandosi il futuro e liberandosi del passato. Solo una dirigenza lungimirante può fare questo e, di conseguenza, meritare lo Scudetto.

Non dipendere dalle cose esterne, o meglio, mai giocare per farti dominare

Un altro grande precetto stoico, ampiamente sviscerato da Seneca ed Epitteto, consiglia di comprendere la propria essenza per agire in conformità con essa; ciò implica una totale ascesi da tutto ciò che, nel mondo esterno, intacca la tua interiorità. Traslando il precetto sul piano calcistico: trova la proposta che è più congeniale per la tecnica di cui disponi, perseguila senza farti condizionare da quella dell’avversario. Mi piace pensare che Spalletti dica proprio questo ai suoi giocatori. D’altronde il Napoli è sempre stata una squadra votata al gioco di possesso e al dominio dell’avversario: non ha mai messo in discussione la propria identità. In 32 partite i Partenopei non hanno mai rinunciato al possesso palla o difeso un pareggio. Quando scegli di non abdicare alla tua proposta, soprattutto se offensiva, ottieni sempre risultati soddisfacenti. Dopo il pareggio contro il Verona e la sconfitta contro il Milan, gare entrambe dominate da Napoli, si poteva auspicare un ritorno al “contropiedismo gattusiano”. Invece la partita successiva i Vesuviani sono andati allo Stadium per proporre lo stesso tipo di calcio, ottenendo tre punti.

Valorizza la tua interiorità, o la tecnica individuale, che dir si voglia

Se Epiteto ribadisce a più riprese che in noi c’è una parte di virtù da coltivare per star meglio con noi stessi; allo stesso modo il Napoli ha valorizzato la propria virtù, cioè il proprio capitale umano: pensiamo alla crescita di Lobotka, che con Gattuso non vedeva mai il campo, mentre con Spalletti è diventato il miglior regista della Serie A; ma anche a Meret, con Gattuso (e anche nel primo anno di Spalletti) secondo di Ospina, adesso il portiere ad aver subito meno gol in Serie A; a Rramhani, con Gattuso più volte rimpiazzato da Maksimovic, con Spalletti uno dei difensori ad aver vinto più contrasti. Pensiamo allo stesso Osimhen: con Gattuso una punta grezza tecnicamente, con Spalletti un giocatore fondamentale nella costruzione di triangoli e nel gioco di sponda. Il Napoli ha creato un sistema di gioco così florido, che il collettivo esalta la tecnica del singolo, mentre il singolo con le sue giocate fa funzionare l’intera macchina: si crea un perfetto rapporto simbiontico tra individuo e collettivo.

Abbi il coraggio di accettare ciò che non puoi cambiare, abbi la forza di cambiare ciò che puoi cambiare

La preghiera della serenità è un precetto presente non solo nella filosofia stoica, ma anche in quella cristiana e induista. Saggio è colui che non si piange addosso di fronte alle disgrazie (inevitabili) che lo colpiscono, ma cerca di fronteggiare tutte quelle difficoltà che invece può superare. Un particolare periodo della stagione del Napoli incarna questo spirito: a settembre Osimhen, l’attaccante più prolifico del campionato, deve star fuori per 4 partite a causa di un infortunio. La risposta di Spalletti è modificare l’assetto offensivo inserendo Simeone e Raspadori, ma senza rinunciare alla propria proposta. Ciò è stato possibile anche grazie a Giuntoli, che ha concesso al tecnico di Certaldo riserve del calibro di Simeone, Raspadori e Ndombélé. L’adattabilità del Napoli, da non confondere con lo snaturamento, viene premiata con 4 vittorie. La versatilità è imprescindibile nell’economia di un campionato: era proprio quello che mancava al Napoli di Sarri, che non riusciva a sopperire all’assenza dei titolari con una panchina di livello.

Insomma: coraggio, lungimiranza, perseveranza, modernità, efficacia, versatilità e, non nascondiamoci, anche bellezza estetica, scolpiscono il Saggio stoico nel marmo della storia: questa volta non è Marco Aurelio in groppa al suo cavallo, ma è tutto il popolo napoletano che, in groppa al proprio asinello, conquista lo Scudetto e con esso, tutti i nostri cuori.

Il resoconto di Udinese-Napoli!

 

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